di Alejandro Gastón Jantus Lordi de Sobremonte
(ajcom) Presso la Sala delle Conferenze Internazionali del Ministero degli
Affari Esteri si è tenuta ieri la conferenza "Women for
peace: the Afghan challenge”, nell’ambito
del progetto “La partecipazione delle donne al processo di pace e
stabilizzazione dell’Afghanistan” sviluppato
da Women
In International Security (WIIS) Italia ed organizzata con il supporto del
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nell'ambito
del Piano
d’Azione Nazionale su Donne, Pace e Sicurezza 2020-2024 (NAP WPS).
Promosso dall’antenna italiana del WIIS (www.wiisitaly.org),
associazione internazionale dedicata alla promozione della leadership e dell’avanzamento
professionale delle donne nell’ambito della pace e della sicurezza internazionale, l’evento
ha come obiettivo quello di promuovere un dialogo continuo sul
futuro dell'Afghanistan e sui diritti delle donne nel Paese, fornendo
un sostegno rafforzato alle peacemaker afghane, molte
delle quali sono giunte a Roma per partecipare all’evento: da Fatima Gailani —già presidente della Croce
Rossa e della Mezzaluna Rossa a Kabul e poi negoziatrice con i Talebani
negli incontri collaterali all’Accordo di Doha firmato a febbraio 2020 dai
militanti islamisti con Washington— a Frozan Nawabi —ex Direttore
Generale per i Diritti Umani e per gli Affari Internazionali delle Donne del
Ministero Affari Esteri dell’Afghanistan— passando
per Mahmouba Seraj, giornalista ed attivista che vive a Kabul e
che si batte quotidianamente per i diritti delle donne, intervenendo anche alle
Nazioni Unite.
L’evento, aperto dal nostro Sottosegretario agli
Affari Esteri Maria Tripodi e dal Presidente di WIIS Italy Loredana Teodorescu, si è poi sviluppato in due panel
moderati rispettivamente da Nicoletta Pirozzi,
Vicepresidente WIIS Italy, e da Azzurra Meringolo, giornalista e cofondatrice di WIIS Italy, con le
conclusioni affidate all’Ambasciatore italiano in Afghanistan, Natalia Quintavallee la partecipazione —tra gli altri—
di Gianfranco Petruzzella, inviato speciale italiano per l’Afghanistan, e —in collegamento video— di Irene Fellin, Rappresentante Speciale del
Segretario Generale della NATO per l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, nonché Presidente
Onorario di WIIS Italy.
Uno dei primi interventi in questa conferenza che ha visto l’alternarsi
delle attiviste afghane e delle interlocutrici della diplomazia e dell’associazionismo internazionale, è stato proprio
quello di Fatima Gailani, figlia di Pir Sayed Ahmed Gailani, il leader di uno dei partiti che negli Anni ’90
del secolo scorso maggiormente si opposero e combatterono contro i sovietici.
Per l’ex presidente della Croce Rossa e della
Mezzaluna Rossa a Kabul, il collasso della Repubblica islamica e il
ritorno al potere dei Talebani nell’estate 2021 non
sono stati una sconfitta militare, ma una bancarotta politica, con
responsabilità diffuse.
«In Afghanistan siamo ormai prossimi alla catastrofe.
Urge un nuovo approccio che non continui a mettere sotto accusa i Talebani, ma
che sappia ricondurli dentro un percorso negoziale già tracciato negli incontri
internazionali, sfruttando anche la loro ambizione di vedere riconosciuto l’Emirato
islamico, ma chiedendo loro di rispettare gli impegni assunti» ha spiegato Fatima Gailani.
«La priorità deve essere quella di evitare
a tutti i costi la disintegrazione dell’Afghanistan. I Pashtun, i Tagiki,
gli Hazara, gli Aimaq, i Saryk e tutte le altre minoranze etniche fanno parte dell’Afghanistan
e devono essere integrate nell’ambito di un processo di pacificazione
nazionale. Non si può continuare a far prevalere le differenze» ha invece
sottolineato Mahbouba Seraj, nota
esponente della società civile, attivista per i diritti delle donne e
giornalista.
Nel frattempo, concretamente, alle donne
afghane non è neanche più concesso spostarsi da sole, né studiare o lavorare.
«Bisogna assolutamente trovare strumenti per costringere
i Talebani a dare conto delle loro azioni ed a riconoscere
le donne afghane come attori politici, iniziando da quelle che
vivono nel Paese. Ma è sempre più difficile fare sentire la nostra voce,
fornire raccomandazioni concrete, elencare proposte e non
ho ancora compreso se conferenze come questa possano davvero essere utili: ne
abbiamo fatte tante e non cambia nulla, le politiche repressive nel nostro
Paese continuano» mette in evidenza Nilofar Ayoubi, della rete Women’s
Political Participation.
Secondo il nostro Ambasciatore in Afghanistan, Natalia Quintavalle, intervenuta
in collegamento video, «va comunque mantenuta
la posizione del non riconoscimento dell’Emirato,
senza naturalmente rinunciare al dialogo con i Talebani» e dello
stesso avviso è anche l’inviato speciale dell’Ue Tomas Niklasson: «niente riconoscimento, ma cerchiamo di
evitare l’ulteriore isolamento del Paese».
La presenza diplomatica a Kabul è rischiosa, ma è indispensabile
per controllare che l’assistenza umanitaria arrivi
senza interferenze ai legittimi destinatari ed a mettere in evidenza le
aspettative della Comunità Internazionale di inclusività e di rispetto
dei diritti da parte dei Talebani.
In quanto ad assistenza umanitaria, ammontano
già a 2,3 miliardi di dollari gli aiuti umanitari che l’Afghanistan ha ottenuto dai Paesi
occidentali. Il dato è confermato dall’Ufficio delle Nazioni Unite
per il Coordinamento dell’Assistenza Umanitaria (UNOCHA), secondo il quale i maggiori contributi sono arrivati da Stati
Uniti, Regno Unito, Banca Asiatica di Sviluppo e Banca Mondiale.
«Il denaro è stato speso precipuamente in sicurezza
alimentare, istruzione e sanità, ma senza la
partecipazione delle
donne che non sono state neanche coinvolte perfino nelle
operazioni di consegna umanitaria, per via delle restrizioni introdotte dalle
autorità talebane, come il divieto di viaggiare per più di 45 miglia (72 km) o
di salire a bordo di voli nazionali ed internazionali senza un “mahram” —un
parente uomo ritenuto il guardiano— o come l'obbligo di coprirsi il volto in
pubblico e di uscire di casa solo in caso di assoluta
necessità» contesta in una nota ufficiale diffusa proprio ieri
la Women
In International Security (WIIS).
Secondo la WIIS, sarebbe auspicabile
istituire un Consiglio Consultivo per l’Afghanistan, composto da
esperti con background diversi, che conoscano le esigenze locali, in maniera
tale che i Governi che hanno fornito aiuti possano monitorarne la distribuzione
e garantire che i finanziamenti apportino miglioramenti per i più
vulnerabili, includendo quindi le donne e più in particolare le ragazze.
«WIIS Italy considera che sia
necessario che la visione e le esigenze delle donne siano
incluse in tutte le politiche formulate sull’Afghanistan,
ritenendo impossibile la stabilizzazione del Paese senza le
donne» conclude Loredana Teodorescu, Presidente di WIIS Italy, responsabile
del Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo.
La necessità di creare progetti incentrati sul
genere,
così come di fornire sostegno psicologico alle donne afghane e di garantire
loro sicurezza
fisica,
prevenendo quindi atti di violenza, è quanto è emerso preponderantemente dai lavori del primo anno di vita della Task-Force voluta dalla WIIS che
a tale scopo ha coinvolto mediatrici di pace,
negoziatrici ed esperte di genere e di sicurezza.
Imprescindibile, secondo le valutazioni delle componenti del
gruppo di lavoro del WIIS, è anche riuscire a creare
in Afghanistan attività generatrici di reddito e continuare a sostenere
la cooperazione tra donne in campo politico, sociale, economico e culturale. (aj-com.net)